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mercoledì 25 maggio 2011

Razzismo e regimi totalitari

"Il bambino con il pigiama a righe" è un libro scritto da John Boyne, nel 2006, che ha avuto grande successo in 32 paesi per il profondo messaggio che vuole trasmettere.
Parla dell'amicizia tra due bambini di etnie diverse: Bruno quella tedesca e Shmuel quella ebrea. Il racconto è ambientato nel periodo Nazista (1942), in cui la razza ebrea è vittima dei soprusi tedeschi. Bruno e la sua famiglia, a causa degli impegni di lavoro del padre, si trasferirono in una casa isolata di campagna, vicino al campo di concentramento dove Ralf, il padre, lavorava come ufficiale.
Il bambino non era affatto contento di questo trasferimento poichè fu costretto a lasciare la sua grande casa e i suoi amici. In questa non aveva nessuno con cui giocare, in più sua mamma Elsa gli proibì di "esplorare" i dintorni, vietandogli anche solo di andare nel giardino sul retro.
Un giorno, lasciato solo in casa, decise di spingersi oltre il giardino, arrivando fino ad un campo recintato, dove trovò Shmuel, un bambino pelato che indossava una divisa a righe, che Bruno credeva essere un pigiama. Da quel momento, tutti i giorni lo andò a trovare, portandogli anche del cibo di nascosto dai suoi genitori.
Bruno rimase affascinato da ciò che c'era oltre la recinzione che li divideva: credeva fosse un mondo meraviglioso, come lo era la sua vecchia città di Berlino. Si immaginava che le persone giocassero tutto il giorno, si divertissero e fossero felici, tranne che il padre lavorasse lì per uno scopo ben diverso.
Il giorno in cui Bruno sarebbe dovuto tornare a Berlino, scoprì di poter oltrepassare il filo spinato che lo separava dal campo, e si offrì di aiutare Shmuel a trovare il suo papà che non vedeva da tre giorni. Shmuel procurò un altro "pigiama" simile al suo a Bruno, che se lo indossò lasciando i suoi vestiti fuori dalla recinzione.
Dopo essere entrato nel lager, insieme all'amico, cercarono di ritrovare il padre, ma vennero interrotti da una sirena, che li fece raggruppare insieme agli altri ebrei in una lunga fila. Ralf, all’oscuro della presenza di suo figlio nel campo, ordinò di avviare la marcia verso una stanza. Prima di entrarvi, i due bambini, come tutte le altre persone, furono costretti a spogliarsi, lasciando i loro vestiti a terra.
Una volta entrati, storditi da ciò che gli stava accadendo, non si resero conto di trovarsi all’interno di una camera a gas e che da lì a poco sarebbero morti.
I genitori di Bruno, pronti per la partenza, non trovando il loro figlio in casa, andarono a cercarlo nel giardino sul retro, dove scoprirono il passaggio segreto che l’aveva condotto al campo di concentramento. Arrivati all’esterno della recinzione, trovarono i vestiti del figlio e riuscirono a capire solo allora ciò che gli era successo.
Il finale del libro, oltre che a far riflettere sugli orrori nazisti appena citati, vuol far capire come il dolore che noi facciamo al prossimo possa essere fatto a noi (come quando il papà di Bruno ordinò di far uccidere gli ebrei all'insaputa che suo figlio si trovasse con loro) e come l’amicizia vera sia in grado di superare ogni ostacolo, infatti il rapporto tra Bruno e Shmuel sin dall’inizio si rivelò significativo per entrambi, poiché ognuno era per l’altro il primo amico ad Auschwitz. Tutti e due si volevano bene, e questo si riesce a capire dal fatto che, quando erano insieme per la prima volta, tutti e due ebbero lo stesso istinto di abbracciarsi, che però non seguirono; o anche dal fatto che la loro morte avvenne per mano. Però,  Bruno, in un certo senso, aveva “paura” di Shmuel; aveva paura di dire cose sbagliate, che li avrebbero fatti allontanare sicuramente. E’ anche così per il ragazzino ebreo, che è sempre riuscito a trattenersi dal dire ciò che sapeva e pensava del padre del suo amico o del suo Paese di provenienza. A volte, per non star zitti, finivano per discutere (sempre riguardo alla loro terra d’origine), ma dopo tutto riuscivano a perdonarsi; come quando Bruno tradì la loro amicizia, negando davanti al tenete Kotler (un ufficiale di suo padre, che viveva insieme alla sua famiglia) che loro già si conoscevano e che erano amici; nonostante i sensi di colpa del bambino tedesco, Shmuel lo perdonò anche se, in seguito, venne picchiato.
Possiamo intuire che Bruno provava invidia per l’amico perché sapeva che non era solo aldilà della rete; ma questo è dovuto alla sua poca informazione a riguardo, infatti, quando oltrepassò la recinzione del campo, rimase veramente deluso vedendo tutto il contrario di quel che si era immaginato, osservandolo dalla finestra della sua camera.
I genitori di Bruno non hanno mai saputo del suo amico Shmuel: la loro amicizia era un segreto, riservata solo a loro due.
Questo, pur essendo un libro che è basato su personaggi probabilmente mai esistiti e che ha focalizzato la sua attenzione soprattutto sull’amicizia dei due bambini, vuole trasmettere il messaggio profondo dell’Olocausto, che causò, negli anni dal 1939 – 1945, circa 30.365.000 morti, di cui probabilmente due milioni tra adolescenti e bambini. Gli ebrei, inizialmente, venivano condotti su dei treni, che li portavano nei campi di concentramento, dove venivano divisi per sesso ed età e spogliati della loro dignità: rasati completamente sulla testa (i loro capelli, sarebbero poi stati utilizzati nelle industrie di feltro), spogliati di ogni abbigliamento ed oggetti personali (compresi denti d’oro, tolti senza anestesia) e soprattutto venivano privati dei loro nomi, sostituti con un numero di riconoscimento marchiato a fuoco.
In questi campi, coloro che erano troppo deboli per lavorare, venivano subito uccisi nelle camere a gas (presentate come docce) ed in seguito bruciati, oppure direttamente fucilati e gettati nelle fosse; mentre gli altri venivano costretti al lavoro forzato nelle fabbriche situate all’interno o nelle vicinanze del campo. Alcuni di loro erano impegnati a rimuovere i cadaveri bruciati dei loro compagni.
Alla fine delle ore lavorative, gli schiavi ebrei, venivano portati all’interno di alcune camerate in cui c’erano dei letti senza materassi nei quali dormivano numerosi di essi, spesso anche 5 in un unico “letto”. Il cibo che gli veniva offerto non era nemmeno degno di essere chiamato tale, poiché era di qualità e quantità infima o a volte nemmeno veniva concesso.
Tutto ciò era tenuto nascosto alla persone che non erano impiegate alla sorveglianza e allo sterminio degli ebrei, che in termini pratici viene definito “censura”, ovvero quando un regime totalitario tende a nascondere gli atti commessi al fine di ascendere al potere, in modo tale da far apparire tutto perfetto e funzionante. Questo è uno dei metodi usati dalle dittature come G. Orwell ci fa notare nel suo libro “La fattoria degli animali”, ambientato nel periodo della Rivoluzione Russa, nel 1917. Viene fatto ironicamente presente l’ascesa al potere di Stalin, rappresentato da un maiale, che riuscì ad ottenerla con la forza e l’inganno sfruttando un momento di disordine sociale e l’ignoranza della popolazione incapace di avviare delle iniziative per una possibile rivolta; ciò descrive come un regime totalitario riesca ad imporsi in una società massificata con l’aiuto del potere carismatico, che viene riconosciuto dal popolo ad una persona che ha qualità sovrannaturali e capace di essere una figura di riferimento per la popolazione stessa. Il potere carismatico però, se usato per fini sbagliati, diventa autoritario, come nel caso delle dittature sopra citate: il leader autoritario è colui che si basa esclusivamente sull’aggressività e la competitività del gruppo.
A ciò si contrappongono quello di tipo tradizionale e quello di tipo legale. Il primo è caratterizzato da una forma di potere basato sui valori e le tradizioni di un determinato popolo, mentre quello legale su le norme giuridiche.